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lunedì 15 luglio 2013

Calderoli più che un politico, un umorista

Probabilmente non è il caso di scriverne ancora, le parole che il leghista Roberto Calderoli rivolge al ministro per l’integrazione Cecile Kyenge sono ormai tristemente note. Purtroppo, però, qualche riflessione mi sento di doverla fare. È vero che siamo in estate, che le notizie scarseggiano e che, come Bossi ci ha abituati negli anni, proprio quando l’attenzione mediatica cala è il momento giusto per creare un po’ di clamore e far tornare la Lega alla ribalta. Già perché, quel che disse Scalfari qualche giorno fa del Pdl, vale per il Carroccio in fondo anche qui non si può certo parlare di partito politico ma piuttosto di un insieme di elettori e pertanto è indispensabile, periodicamente, riscaldare i cuori di questo elettorato e impedire che si risvegli dal comatoso tifo. Così l’estate è il momento giusto per il solito scandaletto leghista che prontamente arriva a sollevare il vespaio: «Quando la vedo non posso non pensare a un orango». Intanto siamo tutti felicemente sorpresi dalla rivelazione: Calderoli, ogni tanto, pensa. Certo il suo orizzonte intellettivo è limitato ma d’altra parte se non lo si esercita e non lo si stimola l’intelletto non si sviluppa da solo. Purtroppo però quello che non prende in considerazione lanciandosi in giudizi estetici verso altri è un’attenta osservazione alla sua persona, a quei suoi lineamenti tutt’altro che delicati, a quel suo fisico troppo avvezzo al sollevamento piatti, a quella sua testa proiettiliforme, a quella pelle arrossata tipica di chi vive ad alta quota o di chi frequenta spesso i banconi dei bar e le osterie e che, purtroppo però, è ben lontana da quegli oggettivi canoni estetici comunemente usati per catalogare ciò che è bello. In poche parole proprio lui dovrebbe essere più umile nel giudicare la bellezza altrui, ma ovviamente siamo tutti certi che lui stesso non si sia reso conto di aver dato fiato a un giudizio estetico.

Roberto Calderoli 2013

«Ho parlato in un comizio, ho fatto una battuta simpatica» tenta di giustificarsi ma è evidente che la sola cosa divertente in questa storia è l’idea che Calderoli faccia dei comizi e che ci sia gente che ancora gli dà seguito. Purtroppo l’evidenza mette in luce gli aspetti negativi della democrazia e della libertà di parola che ne deriva, il fatto cioè che questa è possibile solo laddove vi siano degli individui che non ne abusino e che conoscano il limite e il rispetto. E adesso arriva la vera questione, il problema reale di questa triste vicenda: il fatto cioè che Roberto Calderoli sia, ahinoi, non un semplice politico ma il vicepresidente al Senato e che abbia, dunque, il dovere di sentire il peso di un ruolo che non è più solamente espressione di qualche manciata di X che miracolosamente si è trovato addosso nel conto finale delle schede elettorali che l’hanno portato in Parlamento, ma anche di un’Italia che si è stancata di battute e gente allegra che è impegnata a tirar fuori dai guai se stessa prima che il paese. Dunque, come ha commentato bene la ministra Kyenge: le offese personali sono poca cosa rispetto al nodo istituzionale. Si parla di dimissioni ma è evidente che l’amante-delle-battute Calderoli fa orecchie da mercante e a dimettersi non ci pensa proprio. Mi domando se non siamo arrivati al punto che forse, davanti all’impossibilità di poter giustificare comportamenti così lontani dalla serietà che un ruolo politico dovrebbe finalmente avere, non si possa cominciare a parlare di espulsione, rimozione forzata dall’incarico di rappresentanza, ritorno nei ranghi per dimostrata incapacità alla pubblica esposizione o qualunque cosa che possa, se non salvarci la pelle dal triste declino economico, quantomeno salvarci la faccia da un ancora più triste declino morale.

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