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giovedì 16 gennaio 2014

La morte in una bolla di vetro.

La prima volta che mi sono soffermata davvero a guardare la morte è stata guardando mio nonno. Se n'era andato da qualche ora e aveva intorno al viso un fazzoletto annodato con un fiocco in testa proprio come quello che nelle vignette si disegna a chi deve andare dal dentista. Serviva per tenergli chiusa la bocca. Lo guardavo e mi sembrava vuoto, un contenitore, un guscio. Era ancora lui? Restavo là ferma a osservarlo e a distogliere gli occhi per paura che improvvisamente facesse un movimento, risuscitasse da quel nulla in cui era piombato. Mi riempivo gli occhi di quel fermoimmagine che fino a qualche ora prima chiamavo per nome e che adesso non riconoscevo nemmeno. Volevo toccarlo ma non osavo muovermi. Lo immaginavo freddo come si dice che siano i morti e rigido come un bastone di legno di cui aveva assunto anche il colore. Dov'era in quel preciso momento? Cosa stava sognando?
 Antiche credenze ritengono la morte una malattia contagiosa e al passaggio del corteo funebre in molti paesi si chiudono porte e finestre soprattutto se c'è un ammalato in casa. Non temevo il contagio, sapevo bene che quella era una cosa che riguardava anche me, non ci pensavo. Mi veniva in mente cosa mi raccontava mia madre della sua infanzia mano nella mano con suo padre, quell'uomo adesso ridotto guscio, immaginavo il braciere intorno al quale le raccontava storie e quante volte l'avesse strillata o abbracciata. Poi lo ricordavo mio nonno, quando indossata la giacca si accucciava in ginocchio e veniva a terrorizzare noi nipotini imitando un improbabile nano. Mi mancava anche se ce l'avevo lì davanti. Era questa la cosa che mi addolorava di più, averlo lì e non averlo mai più. Questo è l'effetto che mi ha fatto trovarmi davanti la morte, un sentimento forte e doloroso, un istinto a ritrarmi cercando di proteggermi, l'inesorabile e la mancanza.

Opera di Polly Morgan

La morte fa ribrezzo eppure affascina. La morte è assenza di tutto quello che poco prima c'era: il movimento, il calore, il respiro, il pensiero. Immagino che sia questo il punto di partenza del lavoro di Polly Morgan, un'artista inglese nata poco più di trent'anni fa, che usa la tassidermia per costruire riflessioni sulla morte. Imbalsamando animali lei inscena quello che la morte ha portato via, così il passerotto conficcato nel vetro di una finestra eternamente impedito nel volo, conigli bianchi deposti su cilindri e volpi addormentate in un bicchiere. Animali imbalsamati e conservati in microcosmi scenografici all'interno di teche di vetro come le bare delle favole per bambini. La morte è assenza di tutto ma nella morte quello che resta, il corpo, è solo un'apparenza, un ricordo di qualcosa che non sarà mai più. È il dolore che sta dietro alla morte a parlare attraverso le orribili rappresentazioni della Morgan, è quel sublime che minaccia la nostra stessa sopravvivenza eppure ci diletta perché non ci sfiora da troppo vicino, è alla giusta distanza da permetterci di osservarlo senza che ne subiamo effettivamente un pericolo reale. È quello spiraglio, quella crepa nel muro, da cui guardare sconvolti e coinvolti quell'incomprensibile che chiamiamo "morte".

1 commento:

Unknown ha detto...

C’è solo un requisito per l’arte: combinare idea, tecnica ed emozione in un intreccio funzionale. La capacità di riconoscere l’arte corrisponde alla capacità di apprezzare quest’intreccio di elementi. Bisogna sia conoscerli sia avere una naturale sensibilità (preparazione e talento sono necessari anche negli osservatori).

Riguardo le opere di P.M. ci sono tutti e tre, ma non sono legati uno con l’altro. L’idea è originale. Gli animaletti poi sembrano ben “impagliati”. Questi due elementi però non sono funzionali all’emozione. L’emozione scaturisce solo dal “materiale”. Se i corpicini fossero di qualche materiale sintetico, e ugualmente realistici, avrebbero inevitabilmente azzerato qualunque emozione.

P.M. ci inganna. L’emozione reale è quella del ribrezzo naturale, ma ci fa credere di poterci trasmettere una qualche forma di angoscia, dovuta a quegli scenari surreali e malinconici in cui dispone i poveri cadaverini. L’apparenza e la sostanza si sostituiscono come in qualsiasi meccanismo di marketing. Il materiale, e non l’idea, ha il vero potere emozionale.

Una poesia è una poesia sempre, su carta o per email. Quando noi ammiriamo Michelangelo, non ci emoziona il marmo in sé, ma la forma che gli ha dato.

Il Kindle per l'estate.