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giovedì 27 settembre 2012

SALLUSTI LIBERO



Un dei tanti titoloni di Libero ai tempi della onorata dirigenza
Ma quanti colpi di scena in questa vicenda che ha coinvolto l’integerrimo Sallusti ai tempi in cui dirigeva Libero. Colui che fino all’altro ieri proponeva a gran voce la responsabilità penale dei blogger. Quanto è strano il destino, adesso è lui a dover rispondere penalmente dell’azione di un nickname: Dreyfus. E proprio oggi, il giorno dopo la sentenza definitiva che gli impone una pena detentiva di 14 mesi, spunta fuori questo Dreyfus. Si tratta di Renato Farina, all’epoca dei fatti vicedirettore di Libero, costretto a usare uno pseudonimo perché radiato dall’Ordine dei giornalisti per aver infranto la legge numero 801 del 1977 che vieta ai giornalisti di aver rapporti con i Servizi Segreti. Per suo stesso riconoscimento, infatti, il vicedirettore di Libero, il giornalista e l’attuale deputato ha ammesso di collaborare col Sisde fornendo e pubblicando notizie false in cambio di denaro. Tutto questo avveniva nel 2006 e poco dopo queste vicende giudiziarie Renatone viene inserito nelle liste del Pdl finché nel 2008 riesce a farsi eleggere alla Camera.

Ecco dunque chi c’è dietro la scelta delle parole che riempiono la prima pagina di Libero il giorno 17 febbraio 2007. Il quotidiano, insieme ad altri quotidiani fra cui La Stampa che per prima dà la notizia, racconta la storia di una tredicenne costretta all’aborto. Una tredicenne che ha tentato con tutte le forze di opporsi gridando che si sarebbe uccisa, scalciando e disperandosi finché non è impazzita dal dolore. E siccome, forse, lo scenario non era abbastanza patetico lo scrittore farcisce il tutto di aggettivi, opinioni personali e considerazioni generali arrivando a dire esplicitamente che la ragazza, che per tutto l’articolo è definita enfaticamente “bambina”, è stata costretta ad abortire dai genitori e da un giudice, di cui si fa nome e cognome, e che per costoro l’anonimo Dreyfus chiedeva la pena di morte.
Succede poi che, proprio il giorno dopo, la notizia circolata non sembra corrispondere effettivamente alla realtà dei fatti. Così tutti i giornali si affrettano a rettificare, tutti tranne uno. E dunque si viene a sapere che davanti al giudice, di cui si sa nome e cognome, la tredicenne c’è finita perché, di sua spontanea volontà, aveva deciso di abortire ma in quanto minorenne la legge esigeva il consenso di entrambi i genitori, solo che il padre del fattaccio della figlia non sapeva nulla dal momento che fra i due non correva buon sangue. Dunque dal giorno 18 di febbraio del 2007 per tutti gli italiani la questione era chiarita. Per tutti tranne che per i lettori di Libero che invece hanno continuato a credere che un magistrato, uno di quelli per cui l’aborto non è una cosa grave e che forse per questo poteva essere un comunista, aveva portato alla follia una “bambina”.

Oggi la vicenda è tornata sotto i riflettori eppure questi riflettori non sembrano illuminare tutti gli angoli della questione. Per esempio del fatto che al magistrato umiliato professionalmente sarebbe bastata una rettifica il giorno dopo, o una multa da devolvere in beneficienza non pare essere un argomento di dibattito. E come mai il signor Farina si faccia vivo solo oggi resta un po’ confuso. «Non ero a conoscenza della condanna fino a pochi giorni fa» dichiara alla Camera e dopo aver chiesto scusa per quell’articolo si affretta a chiedere, poeticamente, la grazia: «Chiedo umilmente scusa alla persona offesa, il magistrato dottor Cocilovo, perché le notizie riferite, su cui si basa quel commento, sono sbagliate. Il dottor Cocilovo non aveva obbligato alcuna ragazza ad abortire - come ha riferito l'articolo di cronaca su cui ho impostato la mia opinione - l'ha autorizzata, fatto che per me resta gravissimo, ma di certo non è la stessa cosa. Chiedo quindi scusa […]  Sulla base di questa mia testimonianza, chiedo umilmente per Sallusti la grazia del Capo dello Stato che, in quanto grazia, è come la pioggia che benefica anche chi non lo chiede e, dunque, può bagnare anche la testa caparbia di Sallusti, oppure chiedo si dia spazio alla revisione del processo».

Anche solo prendendo senza malizia nessuno degli eventi che si stanno dipanando da questo caso c’è un fatto chiaro a tutti e cioè che una pena così aspra è difficile da comprendere anche quando dall’altra parte si trova un personaggio ambiguo e indigesto. In questo caso è forse più facile leggere una punizione Karmica piuttosto che un’intimidazione. Perché di fatto nel punire così duramente un direttore di giornale per “mancato controllo” si legge ben altro che un semplice invito alla cautela.
Per quanto mi riguarda poi, nel caso specifico, mi rattrista doppiamente che a subire questa situazione ci sia Alessandro Sallusti che nei tanti anni di disonorata carriera al servizio di un solo uomo diventa oggi simbolo di indipendenza dell’informazione e si ritrovi a pagare smisuratamente per una malefatta che, al confronto delle sue tante venute a galla, in fondo è la minore. 

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