Scrivi qualcosa, magari ne ho parlato.

giovedì 2 marzo 2017

Più ti avvicini a una sirena e più ti accorgi che è un allarme.

Sapete perché a distanza di un miliardo di anni da Please forgive me, Bryan Adams per me è ancora un batticuore? Certamente perché non l'ho mai conosciuto di persona.
Quando ho conosciuto Gina Rodnel la mia personale lista delle cose da fare prima di morire si era drasticamente ridotta. Anche perché la voce "Gina Rodnel" non era un solo bullet point, c'era anche parlarci, berci un caffè insieme, fare in modo che sapesse il mio nome e ascoltarla raccontare del suo passato in modo informale. Perciò quando mi chiese di lavorare per il suo ufficio stampa io non riuscii neanche a mettere in pratica la prima regola del lavoratore-professionista: tirarmela almeno un paio di giorni.
Una regola che non ho mai saputo usare in nessun campo della vita, a dirla tutta.

Il primo giorno di lavoro andò benissimo e così pure il terzo, il quarto e tutto il primo mese. E per "benissimo" intendo che io ero talmente felice di stare gomito a gomito con la più grande artista della scena pittorica underground romana degli anni Settanta, che non contava nient'altro se non prendere appunti qualunque cosa dicesse. Anche quando le cose che diceva erano "Devi fare come fa Giulia", "I tuoi report sono superficiali", "Hai un umorismo che non fa ridere nessuno", "Perché non rispondi alle e-mail dopo mezzanotte?", "Non sei indispensabile" che di solito era accompagnato da "Tutti sanno fare quello che fai tu". Io sudavo, avevo l'ansia e le palpitazioni, mi era anche venuto uno sfogo sullo stinco destro, ma ero felice: Gina Rodnel mi stava parlando e mi insegnava come essere migliore.

Poi un giorno successe che la mia prospettiva si allungò e notai che la stanza nella quale lavoravo da più di un mese non finiva dove credevo che finisse, ma c'era una scrivania in più. Una scrivania che c'era sempre stata, e dietro alla quale era seduto un ragazzo con le occhiaie, la faccia scavata e uno sfogo identico al mio sul braccio che però era a uno stato di cancrena molto più avanzato.
"Ciao" gli faccio "e tu?"
"Io sono Notto, finalmente mi vedi"
"Certo che ti vedo, che dici?" faccio scioccata.
"Eh fino a ieri manco mi salutavi" risponde con un accento pescarese.
"Ma ieri non c'eri" ribatto.
"E, come no? Semmai eri tu che non c'eri. Fino a oggi".

Faccio per rispondere ma in quel momento entra Gina Rodnel, o almeno qualcosa che ha esattamente la
voce di Gina Rodnel e che però è un dilofosauro ipertiroideo che ogni volta che parla non apre solo una lunga bocca piena di denti appuntiti, ma anche un ventaglio di carne intorno al collo che sembra una camicia vittoriana per lucertoloni. D'istinto guardo Notto l'abruzzese che dice "Adesso vedi anche tu". Gina Rodnel si gira verso di lui e, usando una voce falsata di un paio di ottave, gli fa qualche complimento  ma sbaglia il nome. Quello la guarda negli occhi, trattiene un conato di vomito e poi risponde tentando di abbozzare un sorriso.
Gina Rodnel, credendo di aver usato il biscottino giusto, torna di nuovo a guardare verso di me che devo avere un volto impaurito al punto tale che lei stessa si sente in dovere di riportare la situazione sotto controllo. E lo fa nell'unico modo che conosce: affabulando. Così parte una logorroica autocelebrazione dei bei tempi che furono, quando tutto il mondo era ai suoi piedi.

Mentre lei parla, la luce dalla finestra va e viene come una lampadina che sta perdendo vitalità, illuminando una stanza diversa ogni volta. A tratti la stanza è la solita, allegra stanza di tutti i giorni, altre volte invece questa stessa stanza di tutti i giorni è grigia, con i muri fatiscenti e piena di peli di gatto ovunque. Io mi schiodo dalla mia sedia, anche questa pelosa, e mi avvicino alla porta d'entrata che alcune volte è in fondo al solito corridoio di tende bianche, parquet e piante lucide, altre volte è alla fine di uno stretto cunicolo sterrato, pieno di rampicanti e topi morti. Quando afferro la maniglia questa brucia come fosse stata su un grill infernale.
In un balzo sono fuori.
E fuori l'aria è pulita e c'è il sole.

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